Nek e Don Davide si raccontano in un’intervista doppia.
“Vi raccontiamo la nostra vita prima e dopo Nuovi Orizzonti”.
“Da giovane dissi a me stesso: tutto ma prete mai. Mi resi conto poi che dire no a Dio mi aveva reso un anoressico d’amore. Avevo una ragazza, mi pesa tutt’ora il fatto non potermi costruire una famiglia tutta mia”. Rinunciare a tutto “è un’offerta che faccio a Dio, un combattimento quotidiano”. Don Davide ci racconta il prima della sua vita, e quello che oggi è diventata. Sempre al fianco delle persone bisognose che necessitano di quello che lui definisce un “pronto soccorso dell’Amore”. Ci racconta le difficoltà, le minacce, le sofferenze, e anche il magico momento della scintilla, quello in cui la sua vita cambiò quando ammise: “Quella Luce la voglio io”. “Don Davide per me è un fratello”, inizia così la chiacchierata con Nek, che si spoglia delle vesti di cantante di successo per mettersi a nudo, raccontandoci di chi è nel profondo. Ci parla delle missioni che hanno fatto insieme e di cui nessuno sa nulla. Infine, in questa intervista doppia, ci indicano le tre parole che vorrebbero cancellare dal vocabolario, e quelle invece che vorrebbero salvare: Don Davide bandirebbe per sempre ‘Guerra’, Nek salverebbe ‘Condivisione’. Perché, come recita un vecchio adagio, tristezza condivisa è metà tristezza, mentre gioia condivisa è doppia gioia. Ecco la loro vita prima e dopo, che rappresenta un grande e bell’esempio per tutte quelle anime inquiete che puntano a trovare la pace, la serenità, la gioia, la Luce.
Don Davide, le ha creato problemi la popolarità che inevitabilmente le viene dal suo impegno a favore di Nuovi Orizzonti sia in televisione che sui vari canali di comunicazione?
“Oggi una delle cose più importanti, secondo me, è l’anonimato, la tutela della propria privacy. L’ho sperimentato sulla mia pelle in varie occasioni e attraverso modi diversi. Dal 2010 ho vissuto 4 anni di persecuzione da parte di una pericolosissima mafia che aveva preso di mira la nostra fondatrice e la comunità Nuovi Orizzonti, coinvolgendo anche il sottoscritto. Essere popolare mi ha reso un bersaglio facile da screditare con la macchina del fango e attraverso metodi precisi ed efficaci. Ricevevamo minacce e abbiamo subìto veri e propri attentati, come per esempio quello alla macchina di Chiara Amirante e io ero alla guida. Abbiamo subito campagne diffamatorie. In collaborazione con le autorità civili abbiamo combattuto contro un nemico invisibile e con l’aiuto della Direzione Investigativa Antimafia dei Carabinieri e della S.I.P.A in Bosnia Erzegovina alla fine ne siamo usciti direi bene, anche se non sono storie che finisco mai del tutto. Continuiamo ad operare in settori sociali che toccano gli equilibri e gli interessi della malavita. Quella è una vicenda conclusa con sei arresti, ma fino a quando non è accaduto non avevamo certezze cui aggrapparci. Tutt’oggi comunque, devo dire, almeno una volta al mese sono dai Carabinieri a fare denuncia per qualcosa. La macchina del fango è uno dei più potenti mezzi di calunnia. Per esempio ho subìto più volte il furto di identità digitale e ci sono state persone che fingevano di essere me. Se potessi tornare indietro, direi che sarebbe stato meglio rimanere anonimi e preservare la propria libertà. Ma esistono anche aspetti indubbiamente positivi che derivano dall’avere una buona cassa di risonanza mediatica, per esempio la possibilità di usare i nuovi pulpiti per diffondere il messaggio del Vangelo. I media e i new media sono dei mezzi che, se usati correttamente, diventano utili. Ma non devono essere loro ad utilizzare noi. I media sono dei luoghi abitati dalle persone e servono fondamentalmente per creare un ponte iniziale per avere poi un incontro reale. In tempo di pandemia, sono 20.000 le persone da 60 Paesi del mondo che due volte al mese seguono il percorso Spiritherapy ideato da Chiara Amirante, un cammino di conoscenza di sé e guarigione del cuore. È il metodo che usiamo nelle comunità residenziali per i giovani caduti nelle varie dipendenze, dando esercizi per agire concretamente sulle proprie lacerazioni e fragilità e migliorare in tutti gli ambiti più significativi della vita: dipendenze, paure condizionanti, ansia, disistima ecc. acquisendo consapevolezza, lavorando sulla propria affettività, la gestione delle emozioni, le scelte”.
Don Davide può parlarci dell’intenso impegno che ha verso i bisognosi?
“Sono entrato in comunità a 18 anni, sapendo che vivere coi ragazzi che provengono dalla strada sarebbe stata la mia scuola, la mia vera università. Con loro avrei imparato cose che altrove non avrei potuto imparare. Ho seguito l’insegnamento di Chiara Amirante nei centri di accoglienza facendo l’operatore terapeutico, ma ho anche partecipato a numerose missioni in Italia e all’estero, ricordo in particolare quella in Brasile, a contatto con i meninos de rua nelle zone più povere nel sertao (deserto) del Nord Est, oppure in una delle capitali mondiali del turismo sessuale minorile, a Fortaleza. Luoghi dove oggi Nuovi Orizzonti ha Cittadelle Cielo con comunità e centri di accoglienza per tanti che necessitano di un pronto soccorso dell’Amore. Poi ancora le missioni in Bosnia ed Erzegovina, dove ci sono anziani, profughi, ecc. Quando ti trovi nei Paesi più poveri tocchi con mano la miseria, eppure scopri anche che proprio la gente che non ha nulla è capace di gioire con poco e di evangelizzarti e cambiarti. Pensavo di dover dare qualcosa, invece ho sempre ricevuto i tesori più importanti proprio da questi fratelli e sorelle nel mio cammino. In Italia, invece, seppur la situazione di ricchezza collettiva stia diminuendo, la gioventù è afflitta da gravi disagi emotivi e psichici, come la depressione o l’ansia a livelli patologici. Dopo la pandemia, i dati riguardanti i disturbi emotivi nell’infanzia sono saliti al 20%, addirittura al 40% negli adolescenti. Ma comunque, anche prima della pandemia un ragazzo su 3 soffriva di ludopatia durante il liceo, e 1 su 4 faceva uso di droghe. Oggi giorno assistiamo al drammatico problema delle polidipendenze, ossi dipendenze che si sommano una con l’altra. La pandemia ha indubbiamente aggravato questo quadro. Opero tra i giovani e collaboro in un’equipe centrale che coordina l’intenso lavoro dei 231 centri di accoglienza e formazione in tutto il Mondo e delle 1020 equipe di servizio, in ambiti diversi: c’è accoglie le persone dalla strada, chi opera in progetti umanitari, chi nella formazione o e nella prevenzione in diversi progetti, chi va in ospedale, chi in carcere o nelle scuole, chi fa animazione e chi si specializza per l’utilizzo dei media o lo spettacolo e l’animazione…C’è ad esempio un bellissimo progetto “Ciak si gira” – selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, sostenuto anche dalla Fondazione Angelo Affinita – che per 4 anni a Frosinone ha creato un percorso di formazione ai mezzi audiovisivi per giovani e giovanissimi di età compresa tra i 12 e i 18 anni. Grazie a questo progetto, che li vede realizzare da zero un prodotto per la televisione o per il cinema interamente con le proprie forze, ritrovano fiducia in se stessi e verso il futuro. Pensate che hanno già prodotto otto puntate di un format per Rete4 chiamato “I viaggi nel vero”, documentari e prossimamente andranno in onda su Rai1 quattro puntate ogni sabato pomeriggio (il 12 marzo, il 19 marzo, il 26 marzo alle 16.30) con ospiti Simone Cristicchi, artista poliedrico, cantautore, scrittore, regista e attore teatrale; l’attrice Maria Grazia Cucinotta; don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera; la conduttrice Francesca Fialdini. Durante questo corso è stato insegnato loro a usare i mezzi di produzione in maniera professionale. La cosa che mi rende più orgoglioso è che alcuni dei partecipanti pensano di iscriversi a Lettere moderne e storia del cinema o al Dams di Bologna. La povertà educativa, soprattutto in Italia che è fanalino di coda a livello europeo, è un nemico da combattere e da vincere”.
“Tutto ma prete mai”, è anche il titolo del suo libro. Perché prete mai?
“Ho avuto un passato in cui alcuni uomini di chiesa mi hanno lasciato un’esperienza negativa. La chiesa è fatta da persone, e come tutte le realtà, quello che saprà lasciarti dipende da chi incontri. Da giovanissimo ho trascorso alcuni anni in seminario minore ed ho vissuto esperienze prevalentemente negative che mi hanno portato ad alzare gli occhi al cielo e a dire “della mia vita decido solo io, farò tutto da solo, senza l’aiuto di Dio”. Per fortuna, nonostante l’età fosse quella delle follie, non ho fatto mai nulla di gravissimo perché avevo ricevuto una buona educazione e sono riuscito a schivare bivi pericolosi, ma comunque mi sentivo morto dentro. Avere detto di no a Dio, aveva prosciugato la mia anima di tutto l’amore, ero un anoressico d’amore. Poi ho incontrato Chiara Amirante che mi ha permesso di incontrare davvero Dio nel mio cuore. Lei aveva negli occhi una luce e una gioia mai visti, così come i ragazzi recuperati grazie a Nuovi Orizzonti, nonostante avessero alle spalle l’inferno. Dentro di me ho detto semplicemente: “Quella luce la voglio io” ed è stato così che il Vangelo mi ha cambiato la Vita. Ma non il vangelo letto e via, piuttosto l’esercizio del viverlo quotidianamente. In poco tempo ero irriconoscibile, chiunque guardandomi mi diceva che mi vedeva cambiato”.
Da giovanissimo aveva anche avuto una ragazza. È stato difficile per lei rinunciare all’amore di una donna per abbracciare il sacerdozio?
“Confesso che non mi è mai pesato vivere tutte quelle situazioni difficili che ci si trova a vivere quando si è parte di una missione. Sono sempre stato bene, anche se privo dei beni materiali, anche se nella povertà assoluta, anche se in condizioni igieniche molto difficili. Però mi è pesato e mi pesa tutt’ora il taglio affettivo che ho dovuto fare con la mia famiglia d’origine, perché quando vivi in missione ti trovi a tanti km da casa e i rapporti con il tuo vecchio mondo sono ridotti al minimo. Mi è pesato e mi pesa tutt’ora anche il fatto di non potermi costruire una famiglia tutta mia, anche perché ho scelto di vivere in una comunità fatta anche da laici, che a tutti gli effetti svolgono le stesse funzioni che svolgo io, riescono a vivere il Vangelo pur essendo sposati, pur avendo figli. All’inizio volevo respingere con tutte le mie forze la vocazione al sacerdozio, ma poi è stata talmente forte e chiara la chiamata di Dio che non ho potuto fare nient’altro se non dire “Signore ok, mi fido di te”. Ma è una scelta difficile, un’offerta che faccio a Dio, un combattimento quotidiano”.
Lei si è sempre adoperato tanto per i bisognosi. Ha mai ricevuto ringraziamenti speciali?
“Oggi nel mondo è sempre tutto dovuto, ma personalmente se faccio qualcosa è perché la sento dentro al cuore. Mi gratifica arrivare a fine giornata ed essere felice nel contemplare i miracoli che compie l’opera del Signore di cui faccio parte: bambini che rinascono, giovani che ritrovano la strada ecc. Una volta abbiamo accolto un bambino brasiliano che era stato abbandonato nel parcheggio di un distributore e che per anni aveva subìto violenze sessuali da parte dei camionisti che passavano da lì. Oggi è un uomo, padre di famiglia, spesso viene in comunità a ringraziarci e per me è stata un’emozione unica incontrarlo dopo anni e vedere le sue lacrime di commozione. E poi ci persone che hanno seminato morte spacciando droghe o alimentando la prostituzione, che invece oggi si sono riscattate e addirittura aiutano gli altri diventando missionari. In loro ho incontrato una forza e un’efficacia che nessun altro può avere. Sono per me fratelli e sorelle, ma soprattutto un grande esempio”.
Se potesse scegliere tre parole da cancellare per sempre dal dizionario degli uomini e altre tre invece da salvare, quali sarebbero?
“Tra le parole da cancellare, sicuramente, la prima è Guerra, sotto ogni sua forma, non esistono forme di guerra tollerabili o giuste. Intendo con questo anche i conflitti in famiglia e nelle relazioni umane a tutti i livelli; la seconda è Abusi, ne ho ascoltati e ne ascolto troppi, in media su dieci ragazzi che ascolto sette o otto sono di abusi, spesso in ambito parentale e familiare e lasciano una ferita indelebile. Non solo abusi sessuali ma anche di potere e manipolativi; la terza parola è Indifferenza, perché di tanti racconti ascoltati, ciò che più ha segnato i ragazzi non è stato solo fame o solitudine ma soprattutto indifferenza a far soffrire. Al di là del proprio Credo, sicuramente salverei la Dignità di ogni persona umana; poi il primato della Fragilità dei piccoli, perché non si possono dare parti uguali ai diseguali e bisogna dare la precedenza a chi ha più bisogno; in ultimo Spiritualità, siamo attenti a nutrire il nostro corpo, a studiare per la mente, ma ci dimentichiamo dell’anima, che invece è il quid distintivo per crescere come uomini”.
NEK
Anche da parte sua tre parole che salverebbe e tre che cancellerebbe per sempre dal dizionario…
“Tra le parole che salverei c’è senz’altro “condivisione”, e la metto cima alla lista perché la condivisione è terapeutica. Quando soffri, se condividi la sofferenza scopri che diminuisce di intensità e che il peso sulle tue spalle si alleggerisce. Poi salverei “famiglia”, perché per me è importantissima. I viaggi che affronto senza poterli condividere con la mia famiglia sono motivo di tristezza, ma ritrovo il sorriso se penso che potrò tornare dai miei cari. A terzo posto metterei “pazienza”, perché è una caratteristica su cui sto lavorando molto e che a sua volta si porta dietro tutta una serie di virtù legate una all’altra: penso all’umiltà, al silenzio, a tanti aspetti della vita che predispongono all’ascolto. Grazie alla pazienza non pretendi di avere la verità in tasca, piuttosto ti poni delle domande, per rispondere alle quali la pazienza è un ottima consigliera. Infine ne salverei una quarta, la “curiosità”, una forza che ha sempre mosso la mia vita. Sono una persona curiosa e questo mi ha portato tante belle sorprese, soprattutto nel lavoro. Cancellerei invece per sempre dal dizionario la parola “ipocrisia”, senza dubbio. La odio talmente tanto che quando ne incontro faccio fatica a nascondere la mia insofferenza. Al secondo posto l’indifferenza, ossia la più grande malattia dell’essere umano, che si porta dietro parecchie brutte conseguenze. Al terzo posto “arroganza” che, al contrario della pazienza, predispone una persona all’attacco, all’offesa, alla vana gloria, ad avere un alta considerazione di se stessi”.
Ci parla del suo impegno al fianco dei bisognosi?
“In ordine di tempo, mi sono legato a due importanti realtà impegnate nel sociale, Nuovi Orizzonti e Voa Voa Amici di Sofia aps. Sono al fianco di Nuovi Orizzonti da quasi 20 anni, anche se la mia fede parte prima, da un’educazione tramandata dai miei genitori che avevo fatto mia in modo meccanico. Ma poi la curiosità che, come dicevo, ha sempre fatto parte del mio carattere, mi ha portato a scoprire cosa Dio voglia comunicare agli esseri umani attraverso la fede. Siamo sempre ben attenti a curare il fisico e il cervello, anche attraverso aiuti psichiatrici, ma ci occupiamo poco della cura dell’anima. Negli anni invece mi sono reso conto che la serenità di spirito deve venire al primo posto. Non sto parlando della gioia, che è più complicata da raggiungere, ma della pace interiore, che si porta dietro un grande frutto, sia per il fisico che per la mente, ed è qualcosa di molto prezioso. A convincermene definitivamente è stato il fatto di entrare a contatto con persone bisognose di questo genere di cura. La realtà di Nuovi Orizzonti, attraverso il Vangelo di Cristo, basa le sue fondamenta nel principio della condivisione. Penso alle missioni in strada, come quando i volontari vanno alla stazione di Roma per cercare coloro che sono stati dimenticati dalla società e così facendo li fanno sentire di nuovo persone, condividendo il loro malessere, dando loro importanza come esseri umani. L’indifferenza viene così annientata. Oppure ancora attraverso le missioni nel mondo. Gli ultimi sono persone che hanno l’animo inquieto, un animo che le ha portate a scelte sbagliate, all’annullamento dell’esistenza fisica e mentale. Personalmente mi ritengo molto fortunato, perché ho trovato Dio senza avere attraversato tutto questo. Ognuno di noi può cercare Dio e offrire qualcosa di se stesso alla diffusione del Suo messaggio. Io, grazie alla popolarità, posso essere uno strumento, con tutti i limiti dell’essere un comune essere umano, un padre, non esente da problemi, dal bisogno di aiuto a mia volta. E alla fine, “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te stesso”, è il segreto per sbagliare il meno possibile”.
Fino a qui ci ha spiegato gli aspetti positivi della popolarità. Ma quali sono quelli negativi?
“Il successo è un fatto personale, che ha un peso specifico nel proprio rapporto con Dio. Nel mio ambiente Dio non è contemplato, tu sei il Dio di te stesso anzi, il successo è il Dio da idolatrare. A volte mi sento intrappolato nella mia popolarità. Mi ritrovo a chiedermi se fare questo o quello sarà figo oppure no. Ma sai una cosa? A 50 anni comincio a farmi meno problemi di questo tipo. Non ho mai sbandierato il mio rapporto con la fede, ho sempre pensato che questo mio viaggio interiore potesse essere condiviso al di là della popolarità. L’ostacolo esiste se sono io stesso a crearlo. E, alla fine, se posso o non posso fare questo o quello è un problema che mi creo da solo. Certo, parlare di Dio e della fede non è un argomento di particolare interesse per il mondo. Ma il mio cammino di fede mi ha portato a dire che neanche questo è un mio problema. La mia fede si intreccia con la mia vita, tutta la mia vita, anche quella professionale, e sono io che decido se il successo sia un ostacolo o no.
Chi è Don Davide per lei?
“È mio fratello. Ne ho uno di sangue, e lui è l’altro. Abbiamo condiviso talmente tanti momenti di gioia e di tristezza, che ognuno di noi due ormai sa cosa pensa l’altro. Lo incontrai nel 2005 alla comunione della figlia di un amico comune. In quel giorno di festa ci siamo parlati, scambiati i numeri e da quel momento non ci siamo lasciati più. Le nostre strade si sono intrecciate. Abbiamo fatto molte missioni insieme di cui nessuno sa nulla. Quella in Brasile del 2008 è la più nota, ma ne abbiamo vissute tante, a Medjugorje, o quando la prima roccaforte di Nuovi Orizzonti era una casa di appena 100 metri quadrati, e poi ancora tanti viaggi e cose straordinarie, particolari, che solo vivendole sul momento si potevano capire. Sono stato in quasi tutti i centri in Italia di Nuovi Orizzonti. Don Davide è un uomo di fede coerente, empatico, non uno di quegli integralisti che utilizzano ancora Dio come un dito puntato che giudica. Don Davide è innamorato di Cristo e lo porta a tutti, senza mai mancare una volta. Racconta alla gente del Cristo che dà sempre una seconda possibilità, che sa essere il tuo migliore amico, che ti porta con sé. È quel tipo di sacerdote missionario che fa tutto per gli altri. Sa di essere un uomo, non si annulla ma sorride anche quando dentro sta morendo, la sua mano destra non sa quello che fa la sinistra. Soprattutto, non saprai mai quanto lui abbia fatto per gli altri. Davanti a sé ha una strada tracciata per diventare più di quel che è e la Chiesa in lui ha incontrato un grande figlio e un grande alleato”.
Ci racconta del suo ultimo libro, “A mani nude” (HarperCollins Editore)?
“Si tratta di un diario più che di un libro. “A mani nude” racconta un momento della mia vita nella quale si verifica un fatto brutto: l’incidente alla mano, strumento importantissimo per un musicista. Col pretesto dell’incidente mi apro alle persone come non l’ho fatto mai. Il dolore patito per questo incidente ha aperto porte e canali dentro di me che mi hanno portato ad arrivare anche ad una pace interiore. Una pace raggiunta dall’aver ammesso certe fragilità, confessato punti deboli e aver trovato risorse che neanche sapevo di avere. Una sorta di terapia con me stesso. Ho capito di essere fragile, come probabilmente lo siamo tutti quanti, ma non per questo di essere incapace di trasformare i miei limiti in risorse. Quando ho rischiato di perdere due dita ho avuto il coraggio di prendere l’auto e correre all’ospedale nonostante il sangue mi uscisse copiosamente e rischiassi di perdere lucidità durante il tragitto. E meno male l’ho fatto”.
C’è stato un momento nella vita in cui si è sentito davvero lontano da Dio?
“Lontano è una parola grossa. Piuttosto mi sono sentito in collera con Dio. È successo alcune volte. Prima dicevo che sostengo anche un’altra realtà impegnata nel sociale, oltre a Nuovi Orizzonti, si tratta di Voa Voa Onlus Amici di Sofia aps, un’associazione fiorentina ma dal carattere nazionale che offre assistenza a minori affetti da patologie neuro degenerative e che nasce dall’esperienza familiare dei genitori della piccola Sofia De Barros. Ecco, io sono socio fondatore di Voa Voa!, ho conosciuto Sofia e creduto da subito nella missione della Onlus. Quando Sofia è mancata, lo scorso 30 dicembre 2017, mi sono sentito in collera con Dio, ma non lontano. È come se avessi avuto voglia di dire a mio padre “Scusami però io questa cosa non la capisco proprio”. Insomma, un momento di dibattito nel quale esprimi il tuo disappunto perché non capisci e vorresti vederci più chiaro. Chi è in collera non è lontano da Dio, caso mai molto vicino. Lo stesso Don Davide me lo ha spiegato: la lontananza è più pericolosa perché ti porta a costruire basi proprie, che in realtà sono basi molto deboli. Ogni tanto sono in collera con Lui perché sono un essere umano, con la testa finita piuttosto che infinita. Però poi, tutte le volte che ho cercato di capire usando solo la testa non ho trovare risposte. Mentre quando ho tentato di connettermi con il cuore, dopo un pò di tempo ho capito e ho raggiunto la serenità. Perché mi sono accorto che da un’esperienza dolorosa ne sono nate altre positive, una marea, come è successo anche all’associazione di Sofia dopo la sua morte. È stato tanto il bene che quella bambina ha fatto quando c’era, ma anche quando è volata in cielo. Queste sono le cose che realmente ti permettono di avvicinarti a capire il perché di un dolore grande”.