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Paolo Borrometi: La Mafia Invisibile

Intervista completa sul terzo numero 2019 di Nuova Antologia fresco di stampa

Non avrebbe certamente voluto una vita sotto scorta. Anzi, a dir la verità, Paolo Borrometi, giornalista ragusano autore del libro Un morto al giorno. La mia battaglia contro la mafia invisibile (Solferino Editore), non ha ancora fatto pace con l’idea, nonostante la gratitudine nei confronti dei «ragazzi che ormai considero la mia famiglia e grazie ai quali ogni giorno ho salva la vita». D’altronde – Borrometi lo sa bene – la perdita della libertà e della tranquillità fa parte del pericoloso gioco che si sceglie di condurre andando a scoperchiare certi vasi di Pandora. A lui è accaduto sei anni fa, quando insieme ad altri giovani giornalisti fondò il blog di denuncia La Spia.it. Ad animarlo più che vivacemente sono da subito state inchieste scottanti, ma soprattutto nomi, cognomi e tutte le coordinate possibili per dare volto e indirizzo a quella “mafia invisibile” che affliggeva (e tutt’ora affligge) la sua terra. Stiamo parlando della Sicilia sud-orientale, la così detta «provincia babba», quella che abitualmente viene considerata «mite, ingenua, tranquilla, persino stupida», come l’apostrofarono Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino, da sempre contrapposta ad una «sperta, intraprendente, furba e violenta che invece la mafia l’ha prodotta, non solo subita», riferendosi a quella palermitana. Eppure – gli espliciti contenuti del libro lo testimoniano – la terra di Borrometi sobbolle di illegalità e criminalità organizzata ai più vari livelli, e tutto può essere considerata fuorché “babba”.

«Le organizzazioni mafiose presenti nel siracusano operano attraverso le classiche modalità di tipo predatorio – sono le parole di Borrometi –, come l’usura e l’imposizione del pizzo, ma hanno soprattutto saputo infiltrarsi nell’economia legale, condizionando l’esecuzione di appalti pubblici e privati, controllando i subappalti nei tradizionali settori del movimento a terra e dei trasporti o delle forniture di calcestruzzo e di bitume, grazie alle connivenze di alcuni amministratori pubblici locali: anche qui la mafia è presente a vari livelli. E i più alti, com’è ovvio, si sono serviti (e si servo no) dei più bassi». Rispetto al fuoco e fiamme del palermitano, dunque, la mafia siracusana ha un modus operandi poco eclatante, ma non meno egemonico sul panorama nazionale della criminalità organizzata. «Dicevano che la Mafia a Siracusa non esisteva, perciò i giornali non se ne occupavano – commenta quando gli chiedo come è nata l’idea di fondare La Spia.it –.

Perciò l’unica strada per rompere silenzio e omertà era quella di creare una testata giornalistica propria. Il nome “La spia” è stato scelto perché i delinquenti si riferivano a me chiamandomi spione, con ovvia accezione negativa, ma se si considera il ruolo professionale che un giornalista dovrebbe ricoprire, ecco che l’accezione diventa immediatamente positiva. La Spia.it, se vogliamo, non è altro che la follia di alcuni ragazzi di dare un contributo a questo territorio. E se all’inizio eravamo sei o sette, adesso siamo una trentina, contando anche i collaboratori esterni. Grazie allo strumento del blog inoltre la partecipazione è allargata, e chiunque voglia scriverci ha la possibilità di dare il proprio contributo.» I rischi li corre tutti Borrometi, che firma sempre con nome e cognome: ad una prima aggressione che lo ha lasciato menomato, sono seguite intimidazioni, minac ce, il furto di documenti importantissimi per il suo lavoro, sino alla recente scoperta di un attentato che avrebbe dovuto farlo saltare in aria insieme alla sua scorta.

Per ordinare il fascicolo fare riferimento al sito www.polistampa.com